lunedì 7 novembre 2016

DOPO CINQUECENTO ANNI di VALENTINA CAPALDI


Molti pensano che scrivere fantasy sia semplice. 
Lo pensano gli aspiranti scrittori che sottovalutano un genere molto complesso e articolato. E lo pensano molti lettori che snobbano certe storie classificandole come una massa di cretinate senza senso. 
La magia dovrebbe risolvere tutti i problemi e gli snodi della trama. La fantasia cavalcare libera tra le pagine senza preoccuparsi troppo della coerenza e della credibilità della storia. Niente di più sbagliato. Come insegna il maestro Terry Brooks, per usare la magia si paga sempre un prezzo, a volte altissimo. Si può perdere la vita, la ragione, le forze, il senso del bene. Non è una scelta indolore. Mai. E aggiungo che rendere credibile una storia dove appaiono fate, gnomi o draghi, è più ben più ostico e complicato che parlare di drammi famigliari, adolescenziali o matrimoniali. Devi creare un nuovo mondo, una nuova realtà, e la devi creare così bene e in modo così dettagliato da rendere il tutto concreto e logico, sebbene il tutto si analizzi sotto un'ottica diversa.
Io personalmente, pur adorando Terry Brooks, amo leggere un po' meno il fantasy classico e mi diverto di più con l'Urban-fantasy, il Dark-fantasy, il Paranormal e, com'è accaduto in questo caso, con un fantasy storico che rivendica una minuziosa documentazione, spaziando in 500 anni di storia. 
Si parte nel 1508 dall'Inghilterra, e si arriva nel 2008 in Germania. Un viaggio lunghissimo che serve ai due protagonisti del romanzo - un demone privato dei suoi poteri dalla maledizione di una strega e condannato a vivere per l'eternità dentro il corpo di un uomo (Rakgat) e un ragazzo, tramutato per mano di un altro sortilegio, in un nano gobbo e deforme (Tighe) - a scovare il Guardiano che custodisce la chiave che apre la porta degli inferi. Porta che permetterebbe a Rakgat di tornare in possesso del suo vecchio corpo da demone e dei suoi poteri, e a Tighe di liberarsi una volta per tutte da quella prigionia fatta di carne e sofferenza. 

Un viaggio che li porterà molto lontano (Francia, Portogallo, America) e li farà incontrare e scontrare con mondi nuovi (bellissima la parte dove finiscono nel bel mezzo di un sacrificio rituale dell'impero Atzeco e quella dove Tighe cerca di convincere il demone della necessità di portare la civilizzazione e la parola di Dio tra quei selvaggi dalle strane abitudini) e inattese svolte del destino.

Un romanzo asciutto, per nulla ridondante o barocco, nonostante l'ambientazione e la trama che avrebbero potuto spingere l'autore a eccedere con i dialoghi, le descrizioni o con petulanti derive nozionistiche che nulla portano di buono al ritmo della storia. Un romanzo affilato come una lama. Una lama che taglia, ferisce e raramente consola. L'ultima parte, quella moderna, è quella più breve e, a dirla tutta, avrei sondato ancora un po' di più le atmosfere e i cambiamenti dei personaggi. Però, a pensarci bene, se un libro ti lascia un po' d'amaro in bocca perché è finito troppo velocemente, l'ultimo boccone lo mandi comunque giù con un leggero languorino ancora da soddisfare. E questa fame non del tutto placata è, per me, il più bel regalo che ti può lasciare una storia. 

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