sabato 16 luglio 2016

LA PRIMAVERA DI GORDON COPPERNY JR di MATTEO CELLINI



Esistono dei libri particolari. Dei libri che ti parlano in modo diverso. Dei libri che ti toccano in punti del cuore che pensavi spenti per sempre. Capitano di rado, ma quando arrivano, portati dal caso, sono belli come un acquazzone estivo che porta via l'arsura e la sete. 
Mi è successo tre anni fa con CHIEDO SCUSA di Francesco Abate, mi è successo l'anno scorso con IL REGNO DEGLI AMICI di Raul Montanari e mi è successo anche quest'anno con LA PRIMAVERA DI GORDON COPPERNY JR di Matteo Cellini. 
Matteo lo conosco perché anche lui, come me, arriva da quel curioso esperimento che è stato (e ancora è) il Torneo Letterario di Io Scrittore, promosso e organizzato dal gruppo Mauri Spagnol (GeMS). 
Il suo romanzo IO, CATE, edito da Fazi, convinse tutti e non a caso vinse il Premio Campiello Opera Prima. Un esordio fortunato e talentuoso che raccontava la vita di una ragazza obesa, una ragazza speciale prigioniera dentro una gabbia di grasso. 
Ora, Cellini, ritorna con un romanzo completamente diverso. Un romanzo di formazione dove c'è dentro tutta l'America dei nostri sogni adolescenziali, un viaggio, un'amicizia all'apparenza sbilanciata tra un ragazzino (erede di una ricca famiglia che produce attaccapanni) e un uomo di mezz'età che sopravvive vendendo tagliaerba. 
Il loro incontro-scontro sarà casuale. Il signor McCboom busserà alla porta sbagliata, quella della famiglia Copperny appunto, mentre è in corso una rapina per mano di due balordi senza troppo cervello. Gordon è lì, con tutte le sue paure e le sue fragilità, nelle mani di due delinquenti che minacciano di ammazzarlo se il padre non rivelerà loro dove tiene nascosto il bottino. Il padre, uomo freddo e distaccato con in mente solo l'azienda e i fatturati, non cede. E la madre, donna remissiva che non riesce a opporsi alle regole di vita del marito-manager, assiste inerte. Sono tutti prigionieri di ruoli statici e sterili. Ignobili comparse. In quel piccolo teatro degli orrori - Gordon avrà ancora una volta la prova di come il suo valore sia quasi nullo per la scala di valori del padre - esplodono rivelazioni, tranelli e piccole promesse. 
Gordon verrà portato via insieme al venditore di tagliaerba e da quel momento inizierà per lui un viaggio lungo molti km, un viaggio che sarà anche una scoperta e una rinascita per il suo cuore confuso. Un viaggio che non segna solo un percorso su una cartina geografica, ma anche un itinerario dei sentimenti perduti. 

Dopo la lettura ho sentito il bisogno di fare qualche domanda a Matteo. Ecco a voi il frutto della nostra conversazione. 

Come ti è venuta in mente la storia di Gordon? Cosa ha fatto scattare la scintilla? Sei partito da un’immagine? Un personaggio? Un evento? Un proposito?

Gordon è arrivato dopo, in una seconda stesura della storia. Nella prima l’architettura del romanzo era simile – il viaggio andata e ritorno lungo la costa americana – ma il protagonista unico era il venditore di macchinette tagliaerba, McCboom. Gordon è arrivato all’improvviso, correndo per le scale di casa con un casco di Buzz Aldrin sotto il braccio. Mentre correva, io stesso non sapevo perché corresse, e  piangesse, e fosse arrabbiatissimo e deluso. È iniziato tutto in quel momento: io, suo padre e sua madre e il signor McCboom, ci siamo definiti lì: al padre è toccato di essere il motivo della sua rabbia, alla madre la consolazione intermittente a quella rabbia, a McCboom l’improbabile antidoto e, a me, il contenitore di tutto questo.  

Hai visitato i posti che hai raccontato oppure… hai viaggiato con la fantasia? Leggendo i moltissimi riferimenti geografici, spesso minuziosi da morire, mi sono chiesto: ma racconta luoghi conosciuti o…?

Non sono mai stato in quei luoghi; ma quei luoghi sono stati qui: nei film, nelle serie tv, nei libri, nelle canzoni noi abitiamo più di ogni altro paese l’America. Il nostro immaginario è quello. E volevo voltolarmici e abbracciarlo: è stato un vero piacere scoprirne la geografia minuta lungo la costa, seduto nella Plymouth con McCboom e Gordon; utilizzarne i nomi dei luoghi e delle persone; vedere tutto come fosse un film dei Cohen o Wes Anderson. Geograficamente poi, niente era pianificato: Cape Canaveral non sapevo che fosse esattamente lì, ma quando ho visto l’indicazione sulla mappa ho pensato che potesse essere un bellissimo regalo per Gordon, da parte di McCboom, farglielo (fargliela?) visitare. 

Quando scrivi hai dei riti, delle abitudini particolari che ti aiutano nella creazione?

Scrivo di pomeriggio, tutti i pomeriggi (quando ho una storia da scrivere); produco pochissimo (1000\1500 battute ogni volta) ma ci metto ore; ascolto sempre musica (musica esaltante, che mi sollevi e dia carica); tengo lo schermo inclinato ortogonalmente alla tastiera, perché possa vedere le parole non troppo nitide, definite, nere; scrivo solo con carattere garamond e per ritrovare freschezza nelle diverse riletture aumento e diminuisco lo zoom; giustifico la pagina a destra e sinistra lasciando margini molto estesi; ogni riga scritta deve essere piena di lettere, ché non sopporto troppo bianco tra le parole. Sono pazzo, lo so.

Usi moltissime metafore per rendere più ricca e ardita la tua prosa… e allora penso a cosa mi dice il mio editor… non esagerare con le metafore, appesantiscono la lettura… si vede che tu – e il tuo editor – la pensate diversamente. O sbaglio? 

Le immagini sono parte della mia scrittura ma se fossi convinto che una immagine – metafora, similitudine o paragone – stia lì semplicemente a raddoppiare qualcosa di già detto, a ripetersi, a ribadire - se fosse superflua, quindi - sarei il primo a decidere di toglierla. E lo stesso se fosse lì esclusivamente a dare sfoggio di sé, come se la pagina fosse un espositore di bellissime farfalle. Quando invece credo che una immagine metta meglio a fuoco o proponga significati nuovi o suggerisca un collegamento insolito ma plausibile, faccio di tutto per tenerla.

Terminata una storia, quanto tempo ti occorre per passare a un’altra storia? E c’è qualcosa che lega Gordon a Cate?

Questo non lo so bene, perché non ho una esperienza così grande da poterne trarre un dato statistico mio; di solito però l’editing e i tempi delle case editrici sono piuttosto lunghi e in quei momenti caldi e di belle attese ho iniziato a lavorare, ogni volta, su qualcosa di nuovo. Quel qualcosa di nuovo sono io, perché Caterina, Gordon, McCboom sono parti di me, si costruiscono su parti di me. Adesso sto scrivendo, e in altre storie e in altri personaggi parlo ancora di cose mie: e sono curiosissimo di sapere, quando avrò finito di saccheggiare me stesso, di che cosa scriverò.

Grazie a Matteo per la disponibilità. Le sue risposte sono state per me, lettore avido, piccole luci rivelatrici per capire ancora meglio i meccanismi del suo bellissimo romanzo. Consigliatissimo se vi piace l'idea di salire su una Plymouth per scorrazzare dentro il vostro cuore. 



venerdì 15 luglio 2016

VUOTO D'ESTATE



Sono cadute le foglie
tutte
in piena estate
Sono cadute senza far rumore
di notte
in un coro di addii
Io me ne stavo seduto 
al mio tavolino d'angolo
bevendo caffè amaro
Il mare fuori
fantasma oscuro
rumoreggiava lieve
Ho annusato odore di cera
fumo e sudore
e ho messo in bocca
due pistacchi due
lasciati da un altro avventore 
con un universo di piccole 
briciole di pane
Sono cadute le foglie
tutte
indifferenti alla promessa del mattino
Il mio giardino, ora, è nudo 

Penso a un tavolino orfano
Lontano
Un altro caffè amaro alla fine del mondo
Unica salvezza al vuoto dell'estate

giovedì 7 luglio 2016

IL TRONO DEL LETTORE


Vorrei fare un esperimento uno di questi giorni (facciamo ottobre, vah... che ora sono messo piuttosto male) per capire davvero quanti "veri lettori" mi hanno chiesto l'amicizia dopo aver letto un mio libro. Il metodo per capirlo è piuttosto semplice. Togliendo dalla lista gli scrittori, gli addetti ai lavori (editor, librai, grafici, illustratori ecc.), amici e parenti, cosa rimane? Dite che arrivo a una cinquantina? Io ne dubito. 
I lettori, di solito, leggono... e non si preoccupano di cercare l'autore se non in casi particolari (che ci sono stati) e anche se tu ripeti sempre alle presentazioni: "Fammi sapere cosa ne pensi dopo averlo letto. Mi trovi anche su facebook!", sono pochissimi quelli che lo fanno davvero.
Io, da lettore, l'ho fatto in alcuni casi. Colpito al cuore da un romanzo, ho cercato di saperne di più parlando direttamente con l'autore.
Poi ci sono i personaggi espansivi che ti chiedono l'amicizia e solo dopo due secondi due ti invitano a mettere il like a una decina di pagine personali senza scriverti neppure "ciao, piacere di conoscerti!".
Poi ci sono le tipe fighe che ti vogliono sposare.
Poi ci sono quelli che ci provano parlando del tuo libro.
Poi ci sono gli stalker.
Ecco, dico, dopo una bella scrematura, quanti lettori veri rimangono? Se un giorno faccio l'esperimento, poi vi dico.
Vado in bagno, vah... il trono del lettore mi aspetta.