mercoledì 28 novembre 2012

18 MANI: ESPERIMENTO DI SCRITTURA COLLETTIVA

 
Riporto di seguito il racconto collettivo che appare sulla pagina di Facebook di IoScrittore.
Ci siamo divertiti a scriverlo...moltissimo.
Buona lettura.

#1 Stefano Olivieri
Una mattina di circa duecentocinquantamila anni fa Brutus, capo indiscusso del clan dei pelicorti, si svegliò ai margini del ruscello che il sole era già alto. La sera prima si era addormentato pesantemente dopo aver vegliato il fuoco a lungo, nei pressi della caverna dove riposava il resto del gruppo. Rigirandosi nel sonno, a causa della pendenza era rotolato verso il piccolo corso d’acqua, e adesso che aveva la mano ormai immersa nel fango dell'argine si era svegliato. Tutto il braccio gli si era intorpidito a causa dell’acqua fredda e la cosa dovette spaventarlo, perché grugnendo si alzò da terra e corse verso la grotta. Si affacciò dentro appoggiandosi alla parete con il palmo della mano ghiacciata, ancora sporca del fango nero del ruscello. La grotta era bianca, composta da rocce porose e compatte. Una pietra poco utile per fabbricarci utensili e armi ma docile a essere adattata, e infatti ci avevano scavato dentro nicchie e ripari. Gli altri accorsero, svegliandosi al richiamo del capo. Lui cominciò a gesticolare per attirare la loro attenzione , ma il gruppo prese a guardare l’impronta della mano lasciata sull’apertura della grotta da Brutus. Era perfetta, l’esatta riproduzione delle sue dita, si distinguevano nettamente perfino le articolazioni.Brutus era furioso, i suoi non gli davano retta! Grugnì più forte, poi si girò anche lui a osservare.Senza volerlo, aveva inventato la pittura.

#2 Gigi Romano
Ma l'effetto durò poco, tutta l'acqua di cui era intriso il fango rimasto appiccicato alla parete, cominciò a gocciolare e sulla bianca parete di roccia incominciarono a formarsi tanti rivoletti marroni. Non più di una mezza dozzina, che colarono sino al terreno che loro calpestavano. La strana forma che, solo per poco, aveva riprodotto il palmo della mano si era trasformata in qualcosa fi diverso.Nella grotta erano diversi i gruppi che la abitavano.

#3 Catherine Cipolat Si alzò con furore il gruppo dei collistorti coi visi dipinti di ocra. Gli uomini grugnirono più forte di Brutus, volevano picchiarlo e lui si nascose in una rientranza. Nell’impronta della mano deformata dai rivoli si erano riconosciuti e non tolleravano di essere schiaffati sulla parete. Mentre le donne, così allegre e incoscienti, si raggrupparono e presero a ballare, ondeggiando e ridendo. Il fuoco, rimasto acceso, proiettava sulla parete le ombre lunghe e distorte dei loro corpi. Brutus, incuriosito, si fece coraggio, si avvicinò con le dita ancora sporche di fango umido, e volle seguirne i contorni. Il segno era tremolante, ma da lontano sembrava di vedere le donne danzare sulla superficie liscia della roccia.

#4 Bubu Torneo Mentre le donne ondeggiavano rapite dalle lingue di fuoco, il regista, sorprendendo il cast, liberò un urlo inferocito: «Stop! Stop! Stoooop! Ah deficienteee! Ma tte levi de là? Nun te devi mette in mezzo, è la terza volta che stoppiamo. Hai distribuito i cestini alle comparse? E mò vai!». Poi rosso di collera, si voltò verso la troupe. «Ma ndò l’hanno pescato questo… proprio a me mo o dovevano mannà? Ma lo capisce l’italiano?» «E che ne so» rispose il suggeritore, «ha fatto pure i casting e l’hanno castigato ahahahah!» «See, te oggi me mancavi!» «Era ‘na battuta a reggì. McDonald è scozzese, o conoscono tutti, fa audizioni da vent’anni, ma nun lo vogliono, si è pure travestito da donna e da marinaretto, le ha provate tutte!» «Ma è normale?» «E che ne so!» «Senti gobbo, la prossima volta che si mette in mezzo, mo o prendi per er kilt e mo o sbatti fuori! D’accordo?» «D’accordo reggì, nun te ncazza’ è ‘n bravo cristo.» Lo scozzese comprese che parlavano di lui, non gli sembrava vero, era così felice che faticò a non fare un balletto, ma doveva resistere e stare fermo, perché al primo ciack si sarebbe messo davanti alla cinepresa e avrebbe recitato Shakespeare, aveva già un teschio tra le mani, lo aveva trovato in terra vicino al fuoco. Dopo quella performance gli avrebbero dato di sicuro la parte del protagonista: Brutus, il suo sogno. L’aria nella caverna, a causa del fuoco, era irrespirabile. Il regista si terse il sudore, fulminò lo scozzese con uno sguardo e alzò il megafono. «In posizione, ricominciamo! Brutus avvicinati al muro, e voi ballate ragazze, ballate con più sensualità, ce dovete mette er core, me sembrate dei pali de scopa.» «Siamo pronti? Luce! Scena quarta, interno caverna! Tre due uno… Ciack!»

#5 Roberto Alba Un boato improvviso. Gli uomini e le donne si acquattarono. Il silenzio s’impadronì della caverna. Solo i piagnucolii dei piccoli si udivano appena. La terra tremò. Il panico si scatenò per alcuni minuti. Dalla volta, lastre di rocce piombarono su alcuni di loro. Lamenti, poi il silenzio. Tutto era immerso in una fine polvere bianca a tratti accecante per la luce che entrava dall’ingresso. Una donna apparve a Bruttus, come lo spirito di Brakollu, dio del sole. La sua donna, Bonaka, con un pargolo attaccato al capezzolo che mordeva e succhiava penzolando come fosse l’asta di un pendolo, si avvicinò e urlò: «Agalala!». «Enghenenono!» rispose Bruttus. «Agalalaaa!» urlò più forte la donna. «Enghene NONO!» Bruttus alzò la clava. «Oh…» si udì dal fondo della caverna, dove alcuni superstiti osservavano con stupore quanto accadeva. Bonaka indietreggiò. Il bimbo continuava a oscillare come se il tempo avesse deciso di impedirgli una tranquilla alimentazione. La donna raccolse una pietra. «Agalala LA QUA!» disse Bonaka, ma non fece in tempo a sentire la risposta del suo uomo. Sentì una botta tremenda alla testa e cadde priva di sensi. Bruttus Junior continuava a ciucciare aggrappato e sorridente sul ventre della madre.

«Stop! Ma che è sto bamboccio che succhia? A Rolfo chiamame quello degli effetti speciali!»

#6 Carlo Deffenu «Non so dov’è finito. Lo hanno visto con la truccatrice in sala mensa.» «Quella con l’alito che te sembra de sta davanti a un tombino aperto?» «No, la collega. Quella con le tette grosse.» «Me stai a dì la mucca Carolina?» «Sì, lei. Mangiavano la trippa.» «E adesso come lo trovo a quel fetente? Qui ce sta a crollà tutto! Mi dite come la porto a casa ‘sta scena?»
«Te l’avevo detto di accettare la nuova serie sugli zombie» intervenne il macchinista, accendendosi una sigaretta.
«Ce stavano i soldi…produzione grossa. Cinesi e americani.»
«Ma core de mamma, mi ci vedi a fare film de paura?»
«Ah, bello! Svegliati! Li fai già, solo che non te ne sei mai accorto!»

#7 Stefano Olivieri
«Ok ragazzi. Ora facciamo una pausa. Ho sistemato i vostri contributi in modo che possiate leggerli sullo schermo uno appresso all’altro. Io so già che cosa c’è che non va, ma voglio che ci arriviate da soli. Un quarto d’ora per un caffè se volete. Io vado a mangiarmi un tramezzino… » Salvatore Pedullà gira attorno al tavolo, prende la sua giacca e sorridendo all’aula infila la porta. Il gruppo è restato in silenzio, nessuno si aspettava una pausa dopo appena mezz’ora di lezione. Ma il maestro Pedullà, dall’alto dei suoi libri di successo, non può essere certo contraddetto. Soprattutto l’ultimo, “La calabrese smaniosa”, è stato il romanzo horror che negli ultimi due anni ha scalato tutte le classifiche mondiali. Perciò tutti zitti, in pochi escono dall’aula e i più rileggono in silenzio ciò che hanno scritto, aspettando il rientro dello scrittore.

#8 Catherine Zipolat
Non proprio. Uno dei ragazzi si sta innervosendo e ripete tra sé e sé “Pedullà... scrittore... la calabrese che smania... E chi si crede di essere quello?” Luca è un tipo saggio e calmo, uno di quei giovani ragionevoli che mostrano sempre il lato migliore del carattere. Mentre il famoso scrittore mastica lontano da lì il suo tramezzino, lui rimugina e arriva alla conclusione: il tizio famoso è un arrogante. A stomaco vuoto considera l’aula, osserva le solite maestrine che, con o senza penna rossa, non digeriscono il loro panino e arricciano sempre il naso, e le scarta. Considera due o tre tizi dall’aria intelligente e una tipa, bionda e minuta con lo sguardo divertito. Si chiede che effetto farebbe un po’, solo un po’ di ribellione.

#9 Maria Iervolino
Dall'altra parte della strada, sul marciapiede, seduta al tavolo di un ristorante, Milena mangiava il suo piatto di spaghetti con le vongole. Fissò a lungo l'ultimo filo di pasta annegare in un fondo di olio giallo come l'oro, lo scansò sul bordo con fare annoiato, appoggiò la forchetta e con entrambe le mani riportò le ciocche di capelli scuri dietro le orecchie. Busto dritto a testimoniare i millenni trascorsi. Era stata un tempo una donna diversa, aveva danzato ondeggiando in prati e caverne, e poi ancora un'altra e un'altra ancora. Nei secoli dei secoli. Che cosa fosse diventata ora non riusciva a spiegarlo nemmeno a se stessa. Un'anarchica che non tollerava nessun tipo di regola. Forse. “Una terrorista?” pensò “Amen.” Prese la borsa dalla sedia, infilò una mano all’interno e cercò con le dita il pulsante rosso. Attraversò la strada con calma. Si fermò qualche istante vicino al lampione, accese una sigaretta, rimise l’accendino all’interno del pacchetto. Poi estrasse dalla borsa una sfera bianca e la posizionò in un cestino per la carta, proprio davanti all’ingresso del palazzo. Si allontanò con passo indifferente e dopo una decina di metri svoltò l’angolo. Un forte boato fece tremare il quartiere. Il primo piano dell’appartamento di Pedullà andò completamente distrutto, decine di scrittori in erba si riversarono in strada. A qualche centinaia di metri, il regista, imprecò per il crollo della caverna.

#10 Monica Bauletti
"Milena continuò la sua passeggiata con passo lento ma deciso. Incurante della folla di curiosi che accorreva richiamata più dalle imprecazioni del regista che dallo scoppio della bomba. Un sorriso appena accennato le inarcò la bocca ancora carnosa sotto il rossetto lucido e sgargiante. Si fermò davanti a una vetrina per ammirare la propria immagine riflessa. La chioma nera che cadeva morbida sulle spalle e quell’aria soddisfatta la ringiovanivano molto. Una donna senza tempo e senza età con un’energia e un coraggio senza pari, cosi ora si sentiva e così appariva. Una vita vissuta intensamente, passioni profonde, e le tante sofferenze avevano forgiato il suo carattere forte e invulnerabile. Chissà se Pedullà, dopo averla lasciata poco prima, si sarebbe aspettato una reazione così drastica. Milena non aveva lasciato trasparire nessun sentimento. La storia era finita così com’era iniziata. Con superficialità. Senza trasporto. Un rapporto fisico come tanti. La spietata freddezza che Milena metteva nelle sue azioni non poteva derivare che da un background come il suo, fatto di abbandoni solitudini e tradimenti. Scosse la testa, la chioma fluttuò nell’aria, e lei riprese il suo cammino."

#11 Carlo Deffenu
Arrivata al semaforo si guardò intorno: sull’altro marciapiede, vicino al Paradiso del kebab, vide il suo contatto. Era piccolo, vestito tutto di nero e con uno strano cappello in testa. Voleva passare inosservato con il suo look minimal, ma otteneva il risultato contrario: era impossibile non notarlo. Milena attraversò l’incrocio senza pensare alle complicazioni della sua vita sempre al limite e raggiunse Bosforo. L’uomo sorrise con il suo ghigno da iena, estrasse una busta dalla giacca e la porse alla donna.
«Ottimo lavoro. Ora, forse, capirà che non deve scherzare con il fuoco.»
«È solo un uomo pieno di sé» rispose Milena, infilando la busta in una tasca dei pantaloni.
«Non li conti?»
«Mi fido.»
«Wow…non è da tutti in un ambiente come il nostro» esclamò Bosforo, inarcando un sopraciglio esageratamente rifinito dalle pinzette dell’estetista.
«Se qualcuno fa il furbo so sempre come chiudere i conti. Ci vediamo. Se ci sono sviluppi…la mia casella postale la conosci.»
«Posso chiederti solo una cosa?»
«Prova.»
«Stare con quell’uomo com’è stato?»
«Umido. Direi…umido» rispose Milena, girando le spalle e infilandosi nel flusso di gente che camminava lungo il marciapiede.
In lontananza si sentivano le sirene dei vigili del fuoco e quelle più stridule delle ambulanze. Qualcuno rallentò per capire cosa stesse succedendo. Milena non si fermò, scansò i curiosi e proseguì per la sua strada: sentiva il bisogno impellente di una doccia calda. Solo questo: una doccia calda.

#12 Bubu Torneo Intanto dalle macerie, come uno zombie furioso venne fuori McDonald. Si spolverò il kilt con gesti frenetici e cominciò a correre mettendo in mostra l'orribile usanza scozzese. Una volta raggiunto il cronista, gli rubò il microfono con uno scatto cattivo e col respiro affannato iniziò a delirare: "Io, io, so tutto io! Dov'è la telecamera, dov'è?"...

#13 Monica Bauletti
Milena arrivo all’anonimo albergo fuorimano dove aveva occupato una delle tante stanze arredare in modo essenziale e impersonale. Un motel fuorimano dove nessuno si curava di nessuno. Entrò e per prima cosa accese il televisore sgangherato, la prima immagine fu di MC che faceva bella mostra dei suoi attributi grazie al kilt svolazzante. Che immagine squallida e disgustosa! Sulla scia dei commenti del cronista e dei deliri di MC che, evidentemente sotto shock, continuava a ripetere sempre lo stesso ritornello: "Io, io, so tutto io! Dov'è la telecamera, dov'è?" Milena si diresse verso il bagno, si spogliò ed entro nella doccia già fumante. Non aveva fretta e rimase fino a quando le gocce battenti del diffusore non le sembrarono troppo insistenti. Si avvolse in un accappatoio immacolato frizionandosi i capelli con un asciugamano che annodò attorno alla testa come fanno spesso le donne. Ancora una cosa le restava da fare, dal frigobar prese una bottiglia mignon di spumante poi estrasse la busta con i soldi dalla giacca e li sparpagliò sul letto, stappò la bottiglia, la portò subito alla bocca per impedire che lo spumante schiumasse sul pavimento e con una fragorosa risata su tuffò sul letto tra i biglietti da cinquanta euro. Si fece colare in gola il resto del vino e si abbandono agli effetti dell’alcool tra le banconote stropicciare.

#14 Nonno Enio
C'era qualcosa tuttavia che continuava a tormentare Milena, qualcosa che aveva a che fare con le immagini della tv. Purtroppo non aveva a disposizione una registrazione di quei pochi istanti ma cercava comunque di riportarli alla memoria in un attento rallenty. Il suo occhio mentale scivolò via dalla antiestetica e blaterante presenza di Mc davanti al microfono e lei ebbe quasi un sussulto quando, sullo sfondo, dalle macerie fumanti nella sua memoria confusa vide sbucare un uomo, gli abiti laceri e il viso annerito dal fumo. Nelle mani stringeva un fascicolo un po' sbrindellato ma la cura con cui lo serrava al petto la diceva lunga sulla importanza che quelle pagine dovevano avere per lui. Milena capì che non c'era tempo da perdere. Evidentemente il suo lavoro non si era concluso. Doveva trovare il modo per avere una copia di quei pochi minuti di televisione e si mise a fare una rapida ricerca in internet per trovare la sede della piccola emittente locale che aveva mandato le immagini.

#15 Maria Iervolino
Niente da fare, le trasmissioni non erano sul sito, toccava aspettare il giorno dopo. L’unica alternativa era quella di rivolgersi al famoso regista, e provare a estorcergli qualche informazione in più. Il pensiero non fece in tempo a spegnersi che un rumore sordo di nocche sulla porta la raggiunse proprio mentre l’accappatoio scivolava ai suoi piedi. Lo sollevò da terra e con le mani tese a fermarlo sul corpo si avvicinò alla porta. “Chi è?” “Sono io.” Milena aprì la porta, fece entrare l’uomo e subito richiuse. “Finalmente, ti aspettavo con ansia.” Girò le spalle lasciandogli ammirare il fondoschiena. “Brava e bella” disse lui sorridendo. “Oh, cosa sono questi modi gentili?” chiese “Non eri tu quello che imprecava in romanesco fino a qualche ora fa?” “So trasformarmi, quando è il caso, tu non sai ma con quella gente c’è bisogno di maniere dure, o approfittano e la regia se la fanno da soli.” Milena rise, lui l’attirò a sé e la bacio. “mmmhh…” mugulò la ragazza “questo è un premio aggiuntivo?” Poi rise forte, lui portò l’indice sulla bocca di lei e la adagiò sul letto.

#16 Nonno Enio
"Lasciati guardare. - sussurrò lui - Lascia che un povero uomo goda di tanta bellezza... "
"Tanto mica potresti fare molto di più ..." lei rispose.
"Uff !! - sbottò l'uomo - Possibile che tu debba sempre rovinarmi ogni momento di piacere estetico che trovo sulla mia strada?"
"Ma tesoro! Non è mica colpa mia se quel deficiente che ti ha operato l'anno scorso ha fatto un casino dalle parti dei tuoi centri nervosi che governano quel cosino lì, in mezzo alle gambe! Dai, non stare a crucciarti! In fondo devi ammettere che la tua fantasia ci ha guadagnato parecchio da quando la pratica per te è finita"
"E cosa facciamo adesso?"
"Adesso andiamo a cercare tutte le foto dei partecipanti al corso di scrittura creativa tenuto da Pedullà. Sono quasi sicura di riuscire a identificare una certa persona che è sopravissuta all'esplosione"

#17 Bubu Torneo
Ma i due, quando ebbero le foto dei partecipanti tra le mani, si accorsero che, oltre al regista, l’unico sopravvissuto all’esplosione era lo scozzese.
«Eccolo!» Disse felice Milena, «Lo abbiamo trovato!»
«NOOO!» Si lasciò sfuggire il regista, «Ancora lui…».
Seppero al commissariato che McDonald era stato arrestato per disturbo alla quiete e atti osceni in luogo pubblico. Quando lo avevano acciuffato, neppure al cospetto delle forze dell’ordine era riuscito a rinsavire: «Lasciatemi!» Aveva urlato divincolandosi, «Voi non sapete chi sono io! Ve ne pentirete!» Con un gesto fulmineo, raccontò loro il commissario, quel matto aveva sfilato lo spillone del kilt e minacciato i poliziotti. L’apertura del panno tartan, che era scivolato dolcemente ai suoi piedi, aveva rivelato due gambette storte e una parte glabra e rinsecchita che il commissario non riusciva a descrivere senza incontrollati accessi di risa. Erano fuggiti tutti schifati da quella visione e lo scozzese nudo, davanti alle telecamere con un microfono in mano, aveva dato vita al suo show…
«Sarebbe stato il momento più bello della sua vita» considerò il commissario con aria divertita, «se un vaso, caduto dal terzo piano, non lo avesse centrato in pieno.
Ringraziamo ancora la divina provvidenza. Lo abbiamo portato via che delirava: “No, devo firmare gli autografi. Voglio un avvocato! Dov’è la telecamera! È abuso di potere, sequestro di persona”. Adesso è da tre giorni che sta scrivendo e dice di chiamarsi Fedor, lo volete vedere?» «No!» Disse il regista scattando sull’attenti. «Sì» disse Milena all’orecchio del regista, «c’è rimasto solo lui da poter incolpare».

#18 Stefano Olivieri
«Ecco», disse il dottore consegnando alcuni fogli ai ragazzi, «questo è tutto quello che ha scritto vostra madre nelle ultime settimane. È ancora non del tutto libera dalle sue angosce, ha scritto diciassette capitoli di una sorta di sceneggiatura cambiando personalità ogni volta. E ricorre spesso il nome di un certo McDonald…» I figli della paziente si guardarono l’un l’altro negli occhi, imbarazzati. Il maggiore si voltò verso il letto della mamma, in quel momento era sedata e quei lacci che le stringevano i polsi non sembravano aver senso. Li indicò al dottore. «Ma è proprio necessario legarla in quel modo? Ora sta dormendo.» Il medico sorrise . «È proprio quando dorme che spesso smania di più. Comincia a toccarsi, si strappa la sottana gridando sempre lo stesso nome…» «McDonad…vero?» chiese il ragazzo. «Esatto. Ma chi è? Un vostro parente? » Il ragazzo scosse la testa. «Non lo sappiamo di preciso. Deve essere uno che ha conosciuto in rete. È da un anno almeno che ha quest’ossessione. » «Bene», tagliò corto il dottore, «adesso è sotto sedativo. Appena si sveglia potrete portarla a casa. Dovrebbe aver passato la crisi, ma sorvegliatela di continuo. E niente pc: fatela passeggiare, portatela nel bosco. Insomma, tenetele la mente occupata. » Il ragazzo sorrise di riconoscenza. «Grazie dottore. Faremo come dice lei.»

#19 Nonno Enio
I figli della donna - Laura e Francesco - si sedettero a fianco del letto e si guardarono sconfortati. Come avrebbero fatto a tenere la mamma lontana dal pc. Ma soprattutto come avrebbero fatto a isolarla dal resto del condominio visto che si erano resi conto che, quando lei veniva colta da quelle crisi, i suoi lamenti e le sue frasi sconnesse varcavano facilmente i sottili muri del loro appartamento. E la sua camera corrispondeva proprio a quella di un anziano pensionato che passava tutta la sua giornata a spettegolare con la portinaia della stabile. Figuriamoci che razza di storie avrebbero potuto montare su quei due con l'aiuto delle due sorelle zitelle del terzo piano. Roba che di sfumaturte ne avrebbe avute poche ma di fantasia tanta! "Ci sono! esclamò Francesco - Il Marocco! Da quanto tempo è che la mamma sogna un viaggio in Marocco? I soldi ce li abbiamo, tu sei libera da impegni e puoi accompagnarla. Un paio di settimane lontana da qui ... magari incontra qualche bel Tuareg che le faccia dimenticare quello scozzese!"

#20 Carlo Deffenu
Laura si imbarcò sul volo per Casablanca con una strana ansia che non riusciva a controllare. Sua madre sembrava calma. Parlava con le hostess, leggeva il giornale, curiosava tra i passeggeri e ogni tanto diceva la sua sul tempo, la politica o l’ultima esternazione del Presidente del Consiglio. Indossava un pantalone scuro e una giacca dal taglio elegante. «Tutto bene, mamma? Tra pochi minuti partiamo.» «Vacanza?» chiese una donna seduta vicino al finestrino. Laura rispose con un sorriso che avevano deciso di prendersi qualche giorno di pausa per ritemprare il corpo e lo spirito. «Come vi capisco. Io adoro il Marocco. Questa è la quarta volta che ci torno.» «Per noi è la prima. Vero mamma?» La donna si girò verso la figlia e iniziò a battere nervosamente le dita sul giornale aperto sulle gambe. «C’è un complotto contro di me.» «Come dice, scusi?» chiese la donna. «No, non è nulla. Mia madre scherza.» «Elsa Fornero non scherza mai.» «Scusi?» disse la donna. «Come?» aggiunse Laura. «Ma siete per caso sorde? Ho detto che Elsa Fornero non scherza mai.» «Cosa c’entra Elsa Fornero?» chiese la donna, confusa da quell’esternazione incomprensibile. «Tutti ce l’hanno con me per le mie scelte coraggiose. Ma io sono un tecnico. Io so cosa serve per l’Italia. Capito?» Laura fissò sgomenta sua madre e la donna seduta vicino al finestrino. La situazione era più grave del previsto. «Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza e di spegnere gli apparecchi elettronici» annunciò la voce di una hostess. «Finalmente si parte!» esclamò Laura. «E certo. Non c’è mica tempo da perdere. Siamo vicini al baratro. E poi chi lo sente Monti se non porto a casa il risultato?» Laura e la sua vicina di posto annuirono imbarazzate. Con lo sguardo fisso nel vuoto cercarono di non pensare troppo alle ore di volo che le dividevano dalle magiche strade di Casablanca. Il regno delle mille identità possibili.

#21 Maria Iervolino
Dalla parte alta della città, tra i pini secolari che costeggiavano la strada, le ambulanze scesero a corteo. Una dietro l’altra e, a sirene spente, si avviarono verso il centro. Dall’alto un elicottero della protezione civile monitorava tutta la zona. Sulle facce dei passanti si dipinse lo sgomento. Non vi era mai stata, a memoria d’uomo, una mobilitazione di tale portata. Milena e il regista, al secolo Igor Burbero, furono sorpresi mentre litigavano sulle dimensioni di “non si capisce bene cosa”. La ragazza strinse i denti e con occhi rossi cercò di addentare il braccio di un infermiere. Igor non oppose alcuna resistenza. “Sì” disse, “voglio tutte le pasticchine”. All'aeroporto una squadra speciale bloccò il volo per Casablanca, prelevarono una donna che blaterava di politica. McDonald, invece, rideva isterico dal lettino del centro già da qualche ora. Mentre nell’atrio della clinica, un gruppo di attori, si spintonavano e insultavano in una lingua sconosciuta. “Agalala!” urlò una donna. “Enghenenono!” l’aggredì, l’uomo bruto con una clava in mano.

La notte scese calma sulla città, lo scrittore Pedullà si risvegliò nel nosocomio cittadino con la testa fasciata, in altre camere alcuni dei suoi seguaci appuntavano mentalmente fantasiose ipotesi sull’attentato. Ben presto, tutti, avrebbero raggiunto la clinica psichiatrica. Un gran fermento tra i corridoi per accogliere un così alto numero di internati.

Il Bosforo e il suggeritore, vento tra i capelli, correvano liberi sulla strada. Furono i soli a sfuggire al rastrellamento.

#22 Bubu Torneo
Insomma, la storia era finita. Gli scrittori avevano raccolto i loro fogli con aria mesta, si erano divertiti, anche se spesso la narrazione aveva preso percorsi tumultuosi, ma quando le fantasie son tante, bisogna pur adeguarsi. I signori Mauri e Spagnol, dietro alla cattedra, avevano fatto un breve discorso di commiato, supportati dal signor Ponte di Pino che a differenza loro si era distratto di continuo, toccando con piglio nervoso tutto ciò che aveva a portata di mano. Il signor Mauri si era alzato in piedi, aveva fatto un sorriso agli scrittori e aperto la cartella per raccogliere i loro lavori. Uno ad uno gli scrittori consegnarono i fogli, quando ad un tratto si udì un cigolio dalla piccola porta di sicurezza. Tutti si voltarono... Si affacciò un tizio nascosto da una montagna di fogli tale da fare impressione. Giunse ondeggiando davanti alla cattedra. Posò una busta della spesa piena di CD, dopodiché si rovistò con una mano in tasca e tirò fuori un sacchetto pieno di chiavette usb. Poi, facendo attenzione a non far cadere tutto, posò la montagna di fogli davanti al signor Mauri. «Ecco!» Biascicò il tizio con un largo sorriso prima di sedersi, appagato e felice, proprio sulla sedia del dottor Mauri.

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