giovedì 22 dicembre 2011

IL MIO NATALE: UN REGALO DI NATALE di VALENTINA D'URBANO


Il Natale può avere diversi colori (nero, bianco, rosa, celeste, dorato, argentato, viola, verde, rosso) e diversi sapori (dolce, amaro, acido, rancido, salato, stucchevole, pieno, debole, intenso, sciapo, speziato). Ognuno di noi adatta la festa alla propria pelle e alla propria sensibilità.
Ecco perché il racconto di VALENTINA D'URBANO mi è piaciuto così tanto.
Ha un sapore intenso, dolce, ma con un retrogusto vagamente amarognolo.
Valentina è la vincitrice della prima edizione del Torneo di Gems con il romanzo IL RUMORE DEI TUOI PASSI. Romanzo che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima durante le fasi eliminatorie di quel lontano torneo. Io partecipai con una raccolta di racconti e arrivai solo tra i primi 200. Quest'anno ho accorciato le distanze e sono arrivato tra i primi 30. Il prossimo anno che succederà? Si spera in una continua progressione verso l'alto. Nel dubbio mi tocco i tesori di famiglia (non si sa mai!)
Valentina, invece, ha scritto il suo libro in un mese e ha fatto centro al primo colpo.
Una cecchina perfetta.
Il libro dovrebbe uscire la prossima primavera e merita un'attenta lettura.
Per questo per me è una GRANDE gioia proporvi un assaggio del suo stile inequivocabile con questo raccontino così poco natalizio.

Buona lettura. 

UN REGALO DI NATALE
Scende giù dal paese a folle velocità. IL cayenne sbanda e stride sull'asfalto ghiacciato, ma lui quelle strade le conosce da quando è nato, non lo tradiranno proprio adesso.
Non che abbia particolare fretta, anzi.
E' solo che gli piace correre, e gli piacciono le macchine grandi e veloci.
Ha fatto tanto per guadagnarsela.
Quella mattina quando il telefono ha suonato e sul display è apparso il suo numero, quasi non voleva crederci.
Con che faccia tosta richiamarlo, invece di trovarsene un altro.
Ma lei piangendo aveva detto che era di lui che aveva bisogno, che un altro così non lo trovava, che nessuno si fidava di lei per quell'aria che aveva, e invece lui lo sapeva che lei non era una bugiarda, certo, qualche difetto ce l'aveva, però non era una bugiarda.
Stava male senza di lui, c'era un freddo immenso senza di lui, un freddo che nessuna coperta poteva scacciare.
Vediamoci al solito posto, aveva detto lei piangendo e singhiozzando.
Le aveva fatto pena, era sempre stato un tipo dal cuore tenero.
Va bene, aveva risposto. Ma è l'ultima possibilità che ti do.
In fondo è quasi Natale, anche se lei un’altra possibilità non se la merita affatto.
Ma a Natale sono tutti più buoni, anche lui che è buonissimo tutti i giorni dell’anno, a Natale lo diventa ancora di più.
Parcheggia la macchina su uno spiazzo deserto di fronte ad un parrucchiere e ad un negozio di cartoleria, chiusi.
Si incammina a piedi giù per la strada tortuosa, nel silenzio.
Pini innevati a destra, campi innevati a sinistra, lui al centro sulla strada ghiacciata, sopra il cielo grigio che promette altra neve, appena poco più giù una villetta solitaria, di quelle costruite appena fuori dal paese, con un giardino anch'esso ricoperto di neve, uno striminzito albero di natale che lampeggia di luci colorate e il triciclo abbandonato sul vialetto, come nei film.
Guarda in alto verso le persiane chiuse.
Nessuno. Forse stanno dentro davanti alla tv, forse partiti per le feste.
Prosegue ancora, finché le case non scompaiono, lasciando il posto alla strada provinciale.
Adesso c'è silenzio e neve immobile e frusciare di foglie secche.
Pensa che vorrebbe fosse estate, e camminare su quella provinciale tra gli alberi verdi, e il verso degli uccelli, e le cicale.
E poi pensa che quando d'estate percorre quella strada vorrebbe fosse pieno inverno, con gli alberi innevati, quella luce boreale e l'odore, l'odore della neve, che non tutti lo sentono, ma lui si, ti ghiaccia i polmoni ti fa sentire solo, ma di una solitudine trionfante, la solitudine degli eletti, di quelli che stanno in alto, quelli che hanno conquistato la vetta graffiando la roccia con le unghie e scalciando nel vuoto.
E’ partito dal basso lui, venuto su dal niente, come quelle piantine timide che tra qualche mese germoglieranno nel ghiaccio.
Adesso, quella piantina nata nella neve, cammina veloce e si stringe il Moncler color panna addosso, nell’eco irreale di quel freddo.
E pensa a lei, a quella che sta andando ad incontrare.
Lei che lo prendeva in giro alle scuole medie (sì, le avevano fatte insieme, poi però lei era andata al liceo classico in città, e lui era andato a lavorare giù alla carrozzeria di suo zio, che con la scusa della parentela spesso e volentieri si dimenticava di pagarlo), lei che commentava con sorrisetti odiosi quel suo essere un tredicenne goffo e grasso, lei che era bella, bellissima che a 13 anni già si girava tutto il paese a guardarla, lei che una volta, quando avevano 17 anni, gli aveva chiesto di uscire insieme e lui ci aveva pure creduto e l’aveva aspettata per un pomeriggio intero davanti al cancello del cimitero, con le amiche di lei che passavano e ridacchiavano e solo dopo l’aveva capito il perché delle loro risate.
Adesso non funziona più così, adesso l’ordine si è sovvertito.
Ora, è lei che chiama lui, e c’ha una voce, una voce terribile, una voce piena di male che solo a sentirla ti sale un rigurgito amaro dallo stomaco, sarà pena, sarà amore stantio, ma che ne sa.
Sa solo che è una vita che Paola si comporta male con lui. Una vita che promette e non mantiene, che pretende e prende restituendo poco e male.
E’ avida Paola, è avida e vuole tutto per sé.
Ma questa è l’ultima volta.
Scavalca il guardrail in un punto in cui il pendio non è troppo ripido e la neve sembra compatta, scende piano con le braccia aperte a cercare di mantenere un equilibrio precario, ma presto è giù, di nuovo in un territorio sicuro, pianeggiante.
Ci sono quegli abeti enormi , quel silenzio carico che gli piace da morire, il rumore dei suoi passi sulla neve fresca.
Dopo pochi metri, Paola è lì, appoggiata contro un tronco. La neve gli cade in testa e le bagna i capelli ma lei non ci fa caso. Ha occhiaie che sembrano ustioni e la faccia lucida e le labbra secche e screpolate, ma lui quelle labbra le bacerebbe lo stesso, che Paola è bella anche così disperata e sfatta.
- Simone, ti prego…- Tende le braccia verso di lui che fa un passo indietro e nasconde le mani dietro la schiena..
- Simone non mi fare così…- Adesso lei quasi piange e a lui piace sentirla implorare, gli ricorda di tutte le volte che l’ha implorata lui, anche solo con lo sguardo di lasciarlo stare, di smetterla di accanirsi così su un povero adolescente la cui unica colpa era quella di essere grasso.
Si china a raccogliere un po’ di neve, se la fa sciogliere in mano. Guarda quella e non il viso della ragazza. – Come rimaniamo adesso? –
- Non lo so. Non lo so come rimaniamo. Simone ti prego, io sto male. –
Paola sta per mettersi a piangere come al solito, come ogni volta che discutono, ma qualcosa la blocca.
Spalanca gli occhi, allarmata.
Ci sono delle voci che provengono dal bosco,  a pochi metri da loro.
Due voci, forse tre, e si avvicinano.
Probabilmente è qualcuno del paese, qualcuno che conoscono entrambi e lui non ci fa bella figura a farsi vedere insieme a lei che piange, che le chiacchiere corrono e poi dicono in giro che hanno visto Simone Troili maltrattare la Paola Perron, che poveraccia, già non sta bene di suo e per colpa di lui.
Lo dicono tutti al paese che Paola si è rovinata a stare appresso a lui, ma non è vero.
Lui a Paola le vuole bene, anche se è una stronza, anche se sette anni prima lo ha lasciato un pomeriggio ad aspettarla.
Lui è buono e la gente la perdona.
Non vuole mica vederla soffrire.
Così aspetta che quelli delle voci si avvicino, così che possano vederli, e poi fa due passi e la abbraccia, e la sua faccia è calda e bagnata di sudore, e Paola adesso piange e gli si avvinghia addosso e tira su col naso in una maniera che fa proprio pena.
- Simone, per favore, Simone, io non so che fare…- Non la smette più di ripetere il suo nome.
- Stai zitta, che c’è gente, non piangere, che va tutto bene. – dice lui mentre quelli passano, adesso in silenzio perché li hanno visti e devono far finta di non essersene accorti, allora lui le alza la faccia e la bacia e le sue labbra graffiano e il suo alito è amarissimo, ma continua a baciarla lo stesso, e mentre la bacia glielo dice che quella è l’ultima volta, che così non si può andare avanti, che gli deve ridare tutto, che lui ha tanta pazienza, ma così proprio non può funzionare, e glielo dice dolce, sussurrandolo, e Paola non piange più, Paola si stacca e annuisce decisa.
- L’ultima volta, va bene piccola? Facciamo che è il mio regalo di Natale per te. Perché ti voglio bene, lo sai, no? Lo sai che ti voglio benissimo, ma questa è l’ultima volta che te la do a credito, dopo mi devi ridare tutto con gli interessi, che se mi arrabbio sono un sacco di guai per tutti, eh Piccola? Lo sai Piccola come mi arrabbio, no? - Le fa scivolare l’incarto argentato nella tasca della giacca, e lei sospira e quasi trema.
Adesso lui la scioglie dall’abbraccio, scuote la testa, si volta e se ne va.
Le ha dato un grammo pieno, perché quella è talmente tossica che ci si fa una botta sola.
Ma stavolta, la paga.

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