mercoledì 21 dicembre 2011

IL MIO NATALE: L'ALBERO DELLA VERITA' di DANIELA FRASCATI


Il nuovo racconto che vi propongo mi è stato inviato da DANIELA FRASCATI.
Leggerlo è stato divertente. Mi ha riportato alla memoria il giorno in cui, una mia compagnetta di classe, mi rivelò due cose terribili: che Babbo Natale non esisteva e che i bambini non nascevano sotto i cavoli. Avevo solo 7 anni e la mia vita fu travolta da una visione della realtà troppo complessa e terrena per essere compresa in pieno.
Certo, pensando ai bambini di 7 anni che circolano oggi, io ero proprio un boccalone cronico!
My God!

Buona lettura.

L'ALBERO DELLA VERITA'
Forse da grande sono diventata diffidente perché da bambina credevo a tutto. Proprio a tutto, e chissà quante delusioni avrò sofferto.
Avevo otto anni in un Natale ormai lontanissimo. Tutto allora era meno luccicante e opulento. Il Natale era una festa vera, bastava un abete con qualche luce intermittente e quelle palline colorate e fragili che andavano in frantumi solo a guardarle. Si sentiva addosso un fremore di attesa e di festa che ora non c’è più neanche davanti alle luminarie delle strade e alle vetrine infiocchettate di rosso e oro.
n quel Natale dei miei otto anni, anzi, più precisamente l’antivigilia, ero, come succedeva spesso, a casa di Manu, la mia amica del cuore.
Allora vivevo in una cittadina di montagna. Inverni lunghi e freddi che non si erano ancora mischiati con le tempeste tropicali che scatenano tuoni e fulmini come fossimo nella stagione dei monsoni. Erano le quattro del pomeriggio e già faceva buio. Un buio lucido, che tratteneva ancora la luce negli angoli dove il cielo incontrava l’orizzonte.
Io e Manu guardavamo assorte dalla finestra della cucina  farsi notte. La mamma e Grazia, la sorella più grande, entrando accesero la luce interrompendo il richiamo  che quell’ora intermedia esercitava su di noi. Trasportavano un vaso di terracotta con dentro un alberello più o meno della mia altezza, poi tornarono con quattro, cinque, scatoloni impilati uno sull’altro.
«Ora, cominciamo il Natale», proclamò Grazia, posando una delle scatole per terra e tirando fuori le decorazioni di vetro avvolte nella carta velina.
Io le guardavo confusa e meravigliata. Ero ammutolita e allo stesso tempo preoccupata per Manu. Lei era una ragazzina brava, ubbidiente certo più di me, anche se raccontava un sacco di balle, che non erano vere e proprie bugie ma una realtà vista con gli occhi dell’immaginazione. Non mi capacitavo come Babbo Natale la trascurasse fino a quel punto e fossero costrette a farsi l’albero da sole.
Così, un po’ per vanto, un po’ per avere una spiegazione, esclamai.
«A me, l’albero lo porta Babbo Natale!».
Tutte e tre risero divertite. Vedendo come le guardavo, la mamma di Manu aggiunse.
«Come no! Tu sei speciale. Ma credi ancora a Babbo Natale come le bimbette dell’asilo!? L’hai mai visto? Babbo Natale non esiste, sono i genitori, Babbo Natale».
Scoppiai a piangere come mi avessero dato uno schiaffo. Non era vero. Qualcuno mi stava imbrogliando, e non potevano essere mio padre e mia madre! No, quello che mi aveva appena detto era una stupida falsità.
Forse Manu aveva fatto qualcosa di brutto e Grazia e la mamma volevano consolarla perché Babbo Natale per lei non sarebbe arrivato.
Il mio pianto accorato da prima le sorprese poi suscitò altre risa. Ma io non mi divertivo affatto. Come una furia, scordando il cappotto e la sciarpa, corsi intirizzita dal freddo fino a casa. Se era vero quello che la mamma di Manu aveva detto, volevo sorprendere i miei genitori mentre, approfittando della mia buona fede, si affaccendavano intorno all’abete.
Invece tutto era nella più assoluta normalità. E non c’era neanche l’albero.
Mi presi una strillata per aver dimenticato il cappotto ed essere uscita per strada con quel gelo. Alle lacrime, mia madre e mi zia Linda, indaffarate nella preparazione del cenone della vigilia, nemmeno ci fecero caso. Ero una che piangeva per un nonnulla; tutti mi chiamavano Lacrimella.
Ma ci sono lacrime e lacrime; i grandi questo dovrebbero saperlo!
Per il resto della serata rimuginai le parole della mamma di Manu.
Alla fine presi una decisione.
La notte tra il 23 e il 24 era quella in cui Babbo Natale, ogni anno,  mi portava l’albero e qualche volta anche doni, anticipando l’attesa dell’Epifania.
Bene, quella notte lo avrei aspettato. Volevo vederlo e anche parlargli. Dovevo chiarire quella brutta cosa che mi avevano detto, e anche perché Manu non aveva ricevuto l’albero da lui.
La mia era una grande casa su due piani. In una parte vivevano i nonni, nell’altra io e i miei genitori. C’erano due cucine e due tinelli, ognuna di queste stanze aveva un camino e chissà da quale sarebbe sceso. Per non sbagliarmi, attesi che tutto fosse silenzio, che tutti dormissero e, piano piano, sgattaiolai dal letto avvolta nella coperta. Senza fare il minimo rumore aprii la porta della soffitta e salii le scale al buio.
Del buio non ho mai avuto paura. Mi ha sempre fatto sentire al sicuro, come fossi avvolta dentro un velluto morbido e leggero. Poi, c’era la luna. Non era piena e tonda, ma ce n’era un bel pezzo e, in quella limpidissima notte di tramontana, rischiarava come fosse una lanterna.
Mi diressi verso l’abbaino a cui si accedeva con una scala a pioli rischiando più volte di cadere con la coperta che mi finiva sotto i piedi. Finalmente riuscii a issarmi sull’ultimo gradino e guardare fuori.
Il cielo era uno spettacolo che mozzava il fiato. Stelle e stelle, minuscole e sbrilluccicanti. La loro luce siderale attraversava l’universo per arrivare lì, davanti ai miei occhi di bambina, in quella notte diaccia e carica di aspettative, come un miracolo.
Attesi non so quanto. Ogni tanto il sonno mi prendeva e ogni volta rischiavo di cadere dalla scala. Poi tornavo a vegliare, con testardaggine e volontà. Ma Babbo Natale non arrivava. Avevo una grande confusione in testa, temevo che la mamma di Manu avesse ragione e allo stesso tempo pensavo che lui si fosse arrabbiato con me perché avevo dubitato.
Alla fine mi arresi. Capii che non sarebbe venuto né quella notte né mai più.
Me ne tornai di sotto. Saranno state le tre passate. Tutti dormivano ancora, nessuno si era accorto di quella mia veglia notturna. Sprofondai nel letto come un sasso. La mattina mio padre e mia madre mi vennero a chiamare meravigliati perché di solito in quella giornata ero già in piedi alle prime ore dell’alba.
«Ehi, ma quest’anno non ti importa di vedere se Babbo Natale è venuto a trovarti?» chiese mio padre sorridendo.
«Ormai è grande», disse mia madre, lanciandogli un’occhiata, «avrà capito».
Sì, che avevo capito!
Mi alzai di mala voglia e tutta acciaccata.
Giù nella grande cucina, però, l’albero c’era ed era il più bello e il più grosso che avessi mai visto. Un abete che arrivava al soffitto, carico di palle colorate, di babbi natale di cioccolata incartati nella stagnola e di monete d’oro buonissime. E, sotto, c’erano anche i doni. Una bambola che ricordava Rossella O’Hara in Via col vento e che in suo onore chiamai Rossana, e una giostrina di latta con la carica a molla.
Malgrado i regali, però, il Natale lo feci a letto con un febbrone che mi durò fino all’Epifania e oltre.
Ebbi modo di riflettere in quei giorni.
Mi avevano imbrogliato.
Per amore, forse. O perché ero una ragazzina che viveva in un mondo magico dove le cose, gli oggetti, avevano una loro vita nascosta e misteriosa. Che vedeva gnomi e fate, e parlava con presenze invisibile. Che male mi avrebbe fatto credere anche a Babbo Natale?
Così decisi di continuare a crederci, e anche alla Befana, e per molto tempo ancora.
Ricordo perfettamente quando, a dodici anni, mia madre e mia zia Linda mi portarono a scegliere i regali che avrei voluto per l’Epifania e io mi rifiutai, come già avevo fatto negli anni precedenti, di scegliere, dicendo che lei, la Befana, sapeva benissimo cosa volevo. Mia madre commentò.
Ma quando finirà questa storia, è già signorina e crede ancora alla Befana!».
No, non ci credevo. Facevo finta, però non ricordo più se fosse per dispetto o per offrire ai grandi l’ultima occasione per dirmi la verità.

2 commenti:

  1. sai che io non mi ricordo assolutamente quando ho scoperto che Babbo Natale non esiste? evidentemente non è stato un gran trauma!

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  2. Io lo ricordo benissimo. Per me fu un trauma. ehehehe

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